IL CELLULARE IL NOSTRO PEGGIOR NEMICO
NB: Brano tratto da “Telefonino, il nostro peggior nemico” su www.casasalute.it
L ’uso generalizzato dei telefoni cellulari anche da parte di bambini Cellulari e antenne: possibili rischi a lungo termine e adolescenti, e la conseguente proliferazione dei relativi “ripetitori” (antenne montate su pali e tralicci, denominati “stazioni radio-base”, SBR), sono sotto gli occhi di tutti.
L’Italia è al primo posto nel mondo in quanto a numero di cellulari per abitante e di SBR per chilometro, supera di 5-10 volte nazioni tecnologicamente ben più avanzate (Germania, Inghilterra, Usa), ed è preceduta in questa “speciale” classifica solo dalla città di Hong-Kong.
La percezione di un possibile rischio per la salute umana conseguente all’esposizione ai campi elettromagnetici (c.e.m.) usati per tale tecnologia si è diffusa in questi anni senza trovare una risposta precisa da parte delle autorità sanitarie, degli scienziati e della stampa, anzi con notizie contraddittorie, allarmanti o del tutto tranquillizzanti, con una conseguente diffusa disinformazione.
Cercherò quindi di fornire un aggiornamento obbiettivo dei risultati scientifici sugli effetti a lungo termine, cancerogenetici, quindi particolarmente gravi e irreversibili, attribuibili a questa tecnologia. Per quanto riguarda i telefoni mobili (cordless, cellulari analogici e digitali), i risultati, pubblicati da tre gruppi di ricercatori in una quindicina di articoli sulle migliori riviste internazionali, mettono in evidenza un aumento consistente e statisticamente significativo del rischio di contrarre tumori alla testa, benigni e maligni, per gli utilizzatori abituali di telefoni mobili. Questo aumento di rischio cancerogenetico (fino a quattro volte di più rispetto a chi non fa uso di telefonini) viene evidenziato con sicurezza solo dopo dieci anni dall’inizio dell’uso dei telefonini mobili perché questo è il “tempo di latenza” dei tumori alla testa, cioè il tempo che intercorre tra l’induzione del tumore a livello cellulare e la possibilità di diagnosi medica basata sullo sviluppo macroscopico del tumore. Ciò spiega perché un’altra quindicina di studi, invariabilmente finanziati dai gestori della telefonia mobile, basati su tempi di latenza inferiori a cinque anni e su soggetti che avevano fatto uso saltuario dei telefonini, non hanno trovato alcun aumento di rischio cancerogeno; avrebbero anzi evidenziato una riduzione del rischio, cioè un effetto protettivo dell’uso dei telefonini per quanto riguarda l’incidenza di tumori alla testa e persino in altri organi!
Purtroppo questi ultimi dati, privi di qualsiasi consistenza scientifica, sono quasi sempre i soli che vengono citati dalle autorità e da certi “esperti” ufficiali con lo scopo di tranquillizzare l’opinione pubblica.
La possibilità di rischio cancerogeno conseguente all’uso abituale e prolungato dei telefoni mobili è confermata da varie osservazioni:
1) i tumori sono più frequenti sul lato della testa sul quale viene usato il telefonino, dove è maggiore l’esposizione ai campi elettromagnetici;
2) il numero di tumori aumenta con la durata dell’uso del telefonino e con l’aumentare dell’intensità dei c.e.m. emessi da questo, per esempio quando il cellulare supplisce, attivando la propria batteria, a un segnale troppo debole della SRB (cioè quando ci sono poche “tacche” sullo schermo): esiste cioè un ben preciso rapporto dose-effetto;
3) anche gli autori che avevano pubblicato risultati negativi, messi in condizione di osservare soggetti con “tempi di latenza” di almeno dieci anni nell’uso del cellulare, hanno dovuto constatare aumenti significativi del rischio di tumori;
4) a Padova, per fare un esempio, c’è stato un aumento dei ricoveri per tumori al cervello di cinque volte dal 1996 (60 casi) al 2002 (296 casi), e questi tumori colpiscono soprattutto i “colletti bianchi”, vale a dire i professionisti, gli impiegati e i tecnici che per lavorare usano intensamente i telefonini.
Per quanto riguarda il rischio di cancro tra chi abita in prossimità delle stazioni radio-base, a parte notizie aneddotiche, cioè segnalazioni di “grappoli” (“clusters”) di tumori in prossimità di una SRB, è stato pubblicato finora un unico studio epidemiologico (Eger et al; Umwelt-Medizin.Gesellschaft, 17.4.2004) che ha evidenziato un aumento di 2-3 volte, statisticamente significativo, del rischio di ammalarsi di tumori nella popolazione che vive in prossimità delle SRB e che è esposta a livelli di campi elettromagnetici nettamente superiori rispetto alla popolazione che vive più lontano.
Questo studio è stato realizzato in Germania dove, nonostante i limiti di legge siano più permissivi, cioè con livelli di c.e.m. più alti rispetto all’Italia, dato il minor uso dei cellulari e quindi il minor numero di SRB, i livelli medi dei c.e.m. sono significativamente inferiori che nelle nostre città.
Questo unico studio sull’aumento di tumori in prossimità di SRB è, per ora, puramente indicativo, ma mette in evidenza l’urgenza di estendere al più presto questo tipo di indagini. Infatti, dall’insieme dei dati oggi disponibili anche sugli effetti biologici e su quelli sanitari di tipo acuto dei campi prodotti dai telefonini e dalle stazioni radio-base, non è più sostenibile la tesi che non ci sia un legame causale tra le emissioni della telefonia e danni alla salute umana.
La telefonia cellulare è una tecnologia importante che, sviluppatasi in maniera tumultuosa soprattutto negli ultimi 20 anni, ha ancora enormi possibilità di espansione. Se l’esposizione ai c.e.m. usati per la telefonia cellulare risultasse associata a un aumento anche lieve di qualche tipo di effetto dannoso per la salute dell’uomo, l’enorme numero degli utenti e la presenza ormai ubiquitaria di campi elettromagnetici di significativa intensità, potrebbero dar luogo ad un problema sanitario potenzialmente molto grave.
Come sempre avviene quando la scienza comincia a indagare i possibili effetti dannosi dovuti all’uso di prodotti dietro ai quali si nascondono interessi economici enormi e planetari (si pensi al tabacco, all’amianto, al cloruro di vinile e, più in generale, al settore della plastica), anche nel caso della telefonia mobile la letteratura scientifica sull’argomento risente dei condizionamenti esercitati dai produttori mediante finanziamenti mirati, controllo dei risultati, influenze politiche, conflitti di interesse e altre pratiche ormai ben collaudate, quali regalie, campagne mediatiche, informazioni riservate, ecc.
Non è certo un caso che gli studi finanziati dai gestori o dai produttori abbiano dato risultati sistematicamente negativi per quanto riguarda i possibili danni alla salute umana prodotti dall’esposizione ai c.e.m. usati nella telefonia mobile. Anche se tali studi si rivelano inconsistenti ad un esame approfondito, essi finiscono col rendere confuso e contraddittorio il quadro complessivo, pure in presenza di una sovrabbondanza di dati positivi prodotti tramite ricerche “indipendenti”.
A fronte di una massa veramente considerevole di dati sperimentali che mettono in evidenza effetti biologici e sanitari e possibili meccanismi d’azione a livello molecolare, cellulare e fisiologico dei c.e.m. usati nella telefonia mobile, appare oggi insostenibile e assolutamente ingiustificata la posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e della Comunità Europea, di fatto ferma linee-guida fissate alla fine degli anni ’80. Tali linee-guida, infatti, si basano, ai fini della definizione dei limiti di esposizione:
a) solo sugli effetti sanitari, ignorando quindi i dati biologici che li sottendono e che ne chiariscono i meccanismi di induzione;
b) solo sugli effetti definitivamente accertati, in deroga a quanto previsto dal Principio di precauzione;
c) solo sugli effetti di natura termica, mentre ormai sono ben documentati effetti “non termici” o “a intensità particolarmente basse”;
d) solo sugli effetti acuti, a breve termine, a dispetto dei dati documentati nella letteratura, relativi a effetti cronici, a lungo termine, in particolare genetici e cancerogenetici. Questa posizione dell’OMS e della CE, rigida, antistorica, che rifiuta persino il confronto scientifico, appare condizionata non tanto dalla prudenza quanto dalla conservazione di interessi ben identificabili.
Il Principio di precauzione, nato all’interno di tematiche strettamente ambientali (Rio de Janeiro, 1992) ed entrato a far parte del Trattato costitutivo dell’Unione Europea (Maastricht, 1994), nella sua estensione agli aspetti sanitari risponde a una politica di gestione del rischio che si applica in circostanze con un grado elevato di incertezza nei dati scientifici, e riflette la necessità di intraprendere iniziative atte a limitare un rischio potenziale serio, senza dover aspettare il risultato delle ricerche scientifiche.
In sostanza, esso suggerisce di adottare misure per prevenire un danno, anche quando non si è del tutto certi che tale danno si verificherà. Aderendo a questa impostazione, il Principio di precauzione era stato ben incorporato nelle nostre normative nazionali e regionali sulle esposizioni a c.e.m., e da ciò era derivata anche la necessità di tutelare la salute, soprattutto dei soggetti più sensibili (bambini, anziani, malati) mediante il perseguimento di “obiettivi di qualità” che minimizzassero le esposizioni, anche a valori inferiori a quelli raggiungibili in base ai limiti di esposizione e ai valori di cautela.
Purtroppo, a partire dal 2002 tutto ciò è stato vanificato dall’emanazione di norme legislative che hanno reso di fatto inapplicabile il Principio di precauzione e gli “obiettivi di qualità”.
Ciononostante, la magistratura italiana di ogni ordine e grado ha ritenuto di dover continuare a tutelare preventivamente il diritto prioritario alla salute e all’integrità fisica dei cittadini a fronte della documentazione scientifica di possibili incrementi di rischio, anche quando non siano superati i limiti fissati dalle nuove leggi oggi in vigore implicherebbe che l’uso dei cellulari fa diminuire il rischio di ammalarsi di tumore .
NB: Brano tratto da “Telefonino, il nostro peggior nemico” su www.casasalute.it